Alaska training camp:find your flow

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Da dove iniziare? Domanda difficile. Sono state due settimane ricche di eventi ed emozioni. Partirei dal volo aereo che mi ha portata dall’altra parte dell’oceano, in un luogo piuttosto remoto perfino per chi negli Stati Uniti ci vive, l’Alaska. Avete presente gli aerei che con le loro scie disegnano geometrie nel cielo chiaro delle serate estive? Ecco, voglio partire da quel volo che solca il cielo, quel fluttuare nell’aria, che per me sarà sempre un mistero di bellezza. Definirei quel volo flow, che è un po’ come quando nella vita tutto scorre liscio come fosse già tutto lì pronto ad attenderci, che è un po’ come il gesto di un atleta in cui l’espressione della forza è così naturale da lasciare spazio solo alla fluidità del gesto, che è essere così coinvolti in ciò che si sta facendo da identificarsi con esso. Flow che è un po’ il filo conduttore di questa mia esperienza.

L’Alaska è selvaggia. Ma lo è davvero. È la terra degli estremi: città e natura allo stato brado vivono a strettissimo contatto. Basti pensare che la capitale, Juneau, non è collegata da strade ed è raggiungibile solo con aereo o nave. La cosiddetta civiltà deve adeguarsi alle regole della natura: a due passi dal centro di Anchorage ci sono moltissimi sentieri tracciati e segnati, ma se vuoi percorrerli devi mettere in conto la possibilità di avere un incontro ravvicinato con un orso, o un’alce, o un castoro. Di certo l’incontro ravvicinato con nugoli di insetti non si limita alla possibilità. Se accetti avrai in cambio ampi spazi selvaggi, panorami mozzafiato, natura a perdita d’occhio, silenzi solcati dal suono di impetuosi torrenti.

La natura dell’Alaska è stato solo uno dei regali di questa esperienza. Sono state due settimane intense di camp: abbiamo trascorso la prima a Anchorage, per base la nostra grande casa in affitto sull’Hillside. Un po’ di sgasate sugli ski roll, diverse avventure sulle montagne dell’Alaska, con bagni in laghi e torrenti gelidi, molte belle serate in compagnia, cucinando insieme, godendo della luce fino a tardi, uscendo per i vari inviti. La famiglia della nazionale USA è piuttosto vasta ed allargata, infatti vi prendono parte anche gli atleti APU più varie ed eventuali, il che è molto bello e stimolante, sia in allenamento che nel post.
La seconda settimana un volo in elicottero (il primo della mia vita) ci ha portato ai 5000 ft dell’Eagle glacier, una distesa bianca solcata dalle tracce della pista da fondo e sullo sfondo catene di montagne che sembravano un effetto di Photoshop. La nostra casa un rifugio con camere a letti a castello piuttosto affollate, spazi comuni e una piccola cucina. Delle pulizie, della preparazione della colazione e della cena ci si prende carico a turno, con il proprio “cooking-team”, ognuno costituito di quattro atleti. Abbiamo avuto diverse ottime cene: salmone norvegese, serata messicana, americana con i burger e perfino italiana con gli gnocchi!!! La vita è piuttosto semplice sull’Eagle glacier: allenamento, cibo, riposo, ripeti. Niente wifi per una settimana, il che non è stato niente male! Il protagonista indiscusso dell’Eagle è, ovviamente, lo sci. Ci siamo allenati parecchio (quasi 30 ore settimanali) : alle 8 del mattino i nostri sci erano già nei binari e la musica nel pomeriggio era la stessa. A qualcuno dei ragazzi probabilmente questo non bastava, infatti hanno messo delle energie nella creazione di un sentierino tra le rocce attorno al rifugio, che abbiamo nominato “Happy Trail”.

A ripensarci ora è incredibile come mi sia letteralmente tuffata in una vita parecchio differente dalla mia, come sia stato facile adeguarmi ai ritmi, alle abitudini, agli schemi d’allenamento differenti, incredibile come si siano dissolti i miei dubbi. Incredibile, anche, come mi si allenata come mai prima senza uscirne esausta.
Questo lo definirei flow. È la percezione che abbiamo delle cose che la determina. Come ha detto bene la mia nuova amica Jessie, è interessante notare come le ore di allenamento che qualche anno fa ci sembravano moltissime ora sono tranquillamente raggiungibili. 20 ore di allenamento rimangono pur sempre 20 ore.
Ciò che ci sembrava lontano diventa la normalità, perché cambia la nostra percezione a riguardo, cambia la nostra attitudine. Grazie a questo stato di flow, riesci anche a farti passare 30 ore settimanali sugli sci. Anzi, di più: sentirai che ogni istante di quelle 30 ore ha avuto significato. Perché trovare il proprio flow è anche cambiare la percezione dello sforzo: proprio l’accettazione della fatica, della stanchezza durante l’allenamento è il modo per imparare a gestirle meglio.

Questo camp è stata una delle più belle esperienze della mia vita: mi sento arricchita ed entusiasta. Soprattutto mi sento grata. Voglio ringraziare i coach del US team per l’invito e il supporto, le persone che hanno reso possibile la nostra permanenza sull’Eagle, in primis Erik Flora, grazie alla famiglia Randall-Ellis per avermi ospitata a casa loro e a Kikkan per avermi prestato del materiale (è stato un onore), un grazie a Zuzana per la fisioterapia e il sorriso sempre pronto. In particolare un grazie a tutti gli amici, nuovi e ritrovati che hanno reso speciale queste due settimane. Find your flow.

 

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