I mondiali di Falun 2015 sono stati un evento davvero beyond expectations. Ottima organizzazione, grande partecipazione e atmosfera speciale hanno contraddistinto i 12 giorni iridati. Per chi li ha vissuti, come me, dalla pista, resterà indimenticabile il boato del pubblico al passaggio degli atleti attraverso lo stadio. E resterà indimenticabile la passione per lo sci di fondo che traspariva dalle urla di incitamento.
Con la stessa velocità con la quale mi sono buttata dentro questo evento, mi ritrovo a conclusione avvenuta. Mi chiedo, cosa resta di un avvenimento di questa portata? A qualcuno (pochi) resta una medaglia appesa al collo, a qualcuno in più l’amaro in bocca per un’opportunità sfumata. A moltissimi restano bandiere colorate negli occhi, narici piene di odore di fumo, suono di trombe nelle orecchie, emozione ed eccitazione impresse per sempre nella memoria.
E a me resta un senso di appartenenza e condivisione. Per il periodo del mondiale la nostra vita ha gravitato attorno a due poli: la casa dove eravamo alloggiati e lo stadio. Due poli opposti, divisi da 15 minuti di viaggio in pulmino, e complementari. Da una parte la sfida, la frenesia, la fatica, le luci dei riflettori. E dall’altra l’ambiente familiare, accogliente e sicuro. In entrambi questi luoghi, così diversi tra loro, facce, abitudini, oggetti che li caratterizzano e che rievocano sensazioni. In pista la tensione e la necessità di fare le cose in modo preciso e impeccabile: orari, schemi, preparazione. Non sarebbe stato possibile senza la nostra squadra di ski men che ha lavorato duramente per tutto il periodo, senza i consigli degli allenatori e senza la presenza rassicurante in partenza del medico e del fisio.
Mentre la nostra casa è stato il luogo in cui riunire e condividere le emozioni vissute all’esterno, sezionarle in infinite chiacchierate, arricchirle di nuovi dettagli attraverso gli occhi altrui. Un ambiente tranquillo, ma dinamico, spartito con combinatisti e saltatori. Un ambiente in cui, alla tranquillità della propria stanza, si combinava la sala da pranzo: bastava un piano di scale per incontrare qualcuno con cui chiacchierare e scherzare a qualsiasi ora del giorno. Un ambiente reso tale dal lavoro, ma nondimeno dalla simpatia, dei nostri due cuochi Walter e Maurizio, che sono stati l’ingrediente indispensabile per la buona riuscita della trasferta. Le medaglie, prima di Ale e poi di Didi e Chicco, hanno fatto sì che la nostra casa si vestisse a festa per un paio di serate, la cui eco si è propagata per tutto il periodo e ha contribuito a rendere l’ambiente più sereno e sgombro da pressioni.
Per me è stato proprio come appartenere ad una grande famiglia. E per questo provo un senso di grande gratitudine verso tutte le persone che hanno fatto parte, con le quali ho condiviso questo evento. Così speciale, ma che in fondo è fatto di tanti piccoli tasselli di ordinarietà.